sab 26 ottobre ore 20 e dom 27 ore 16

Fin da piccola ho avuto una certa familiarità con il Decameron: nella libreria di casa c’erano i libri della Scala d’Oro, una raccolta di classici selezionati per bambini, dove lessi le mie prime novelle del Boccaccio.
Inoltre la mamma, maestra elementare, ci raccontava volentieri di  Chichibio, Calandrino e le loro avventure di astuzia e dabbenaggine. Tanto che, quando ci portava la domenica a fare la passeggiata lungo il Mugnone, per noi più piccoli era consueto giocare “all’elitropia”, cioè raccogliere sassi neri e cercare di colpirsi a vicenda nei talloni. “Piano, ragazzi, attenzione, non fatevi male!” ci gridava lei…. Ma ormai il liquore era istillato.

Più tardi, all’Università, il mio professore di Lettere Walter Binni ci fece un corso su Boccaccio, definendolo il primo scrittore del Rinascimento, per lo sguardo rivolto all’uomo e al mondo terreno e per la centralità della “parola” nella sua opera. Infatti i dieci giovani che fuggono dalla peste e vanno in campagna a ricreare il regno della vita contro la morte, passano la maggior parte del loro tempo a raccontarsi novelle. E’ il trionfo della parola e della creatività.
“Novellare è arte umile, ma è arte grande – scrive Boccaccio – perché trasforma le cose. Rende meraviglioso un gobbo, ridicolo un principe, dolce il passare del tempo… e ci fa essere liberi e felici come Dio. Tutte le storie nascono dalla profondità del sangue e del respiro. Tutte le storie, cambiate il nome, sono la vostra”:

Su questa strada molti autori hanno seguito l’esempio di Boccaccio, da Giovan Battista Basile con Lo cunto de li cunti (o Pentamerone), al nostro contemporaneo Italo Calvino che ha raccolto le Fiabe italiane pescando nella tradizione dell’Ottocento e del primo Novecento, in varie regioni d’Italia e traducendole dal dialetto in un limpido italiano.

Nella sua Lezione americana sulla Leggerezza, Calvino cita Giovanni Boccaccio e Guido Cavalcanti come esempi sommi di questa capacità. E mette in guardia: leggerezza non è superficialità, al contrario, è profondità nella leggiadria, è uno stato di grazia, è un passo di danza, una sinfonietta, sono gli atomi di Epicuro e il De rerum naturae di Lucrezio, è l’incipit di una poesia di Cavalcanti: “Perch’io non spero di tornar giammai / ballatetta in Toscana / va’ tu leggera e piana / dritta alla donna mia…” e la risposta che dà Boccaccio a chi lo accusa di non essere abbastanza serio e grave: “Io non sono grave, ma leggero, infatti, messo dentro l’acqua, galleggio!”

Le novelle del Boccaccio sono fantasiose e leggiadre, quella che oggi può sembrare più dura è la lingua: si tratta infatti del volgare del Trecento. Bisogna entrarci pian piano, ascoltando la musicalità delle frasi e lasciandosi irretire dalle immagini, che vengono evocate dalle metafore più ardite. E poi ci sono le voci dei vari personaggi, sempre originali e differenziati nei caratteri e nei toni. Per me è tornare a casa e tuffarmi in un grande gioco. Il divertimento più grande è riuscire a giocare insieme al pubblico.

LE CINQUE NOVELLE

1) Masetto Da Lamporecchio  – III giornata, novella prima –            (in lettura)
2) Calandrino pregno – IX giornata, novella terza –                          (recitata in riduzione drammaturgica)
3) Fra Cipolla  – VI giornata, novella decima  –                                 (in lettura)
4) Andreuccio Da Perugia  – II giornata, novella quinta –                 (in lettura)
5) Alibech  – III giornata, novella decima –                                       (recitata nella sua forma narrativa)

LUCIA POLI

Cast

di Giovanni Boccaccio
con Lucia Poli

Durata spettacolo: 60 minuti senza intervallo

Calendario spettacoli

20:00:00
16:00:00

Regolamento accesso sala:  per ragioni artistiche non è consentito l’accesso in platea a spettacolo iniziato.